Il recupero del soggetto

Book Cover: Il recupero del soggetto
Parte di Rapporto professionista-malato series:

Sandro Spinsanti

IL RECUPERO DEL SOGGETTO

in La salute per tutti

Franco Angeli, Milano 2015

pp. 267-271

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Citiamo per prima la formula più spesso ripetuta per riassumere il suo pensiero: «introdurre il soggetto nella biologia». Nell’espressione è implicita una protesta contro l’approccio tipico delle scienze della natura, che all’inizio del secolo dominava la ricerca in campo biologico e medico. Il metodo analitico-sperimentale aveva prodotto una concezione meccanicistica anche dell’essere vivente.

Da studente i dubbi di von Weizsäcker contro il meccanicismo e il materialismo erano stati di natura filosofica 1; l’esperienza brutale della guerra, ma soprattutto la crisi di valori che seguì, lo aiutò a rendersi canto dei limiti intrinseci nell’ideale dell’oggettività scientifica in campo medico 2. La medicina come scienza della natura, con tutto il suo apparato tecnico e concettuale, è messa in discussione quando risulta che i suoi presupposti generali sulla natura dell’uomo malato sono, se non falsi, decisamente insufficienti 3.

Rivendicare l’introduzione del soggetto nel campo delle scienze biologiche voleva dire sciogliere l’incantesimo dell’oggettività, ritrovare quelle componenti della malattia come fatto dell’essere vivente che sfuggono al microscopio. Il programma dell’introduzione del soggetto ha influenzato anche le originali ricerche di von Weizsäcker in biologia e nella fisiologia della percezione, culminate nella teoria del Gestaltkreis. Il suo approccio alla soggettività spezza il tradizionale rapporto soggetto-oggetto e instaura una concezione della totalità nella quale il soggetto stesso è incluso a titolo di modulatore espressivo.

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Si può presentare in modo globale il progetto perseguito da von Weizsäcker anche parlando della svolta dalla malattia al malato, che culmina nella «medicina antropologica». Questa movimento riconosce la propria paternità nell’opera clinica e teorica di von Weizsäcker; tuttavia gli apporti concettuali che sono confluiti nella «medicina antropologica» provengono da diverse fonti. Nell’insieme presuppongono quella «crisi della medicina» che divide in due versanti la storia della medicina contemporanea. Essa è caratterizzata soprattutto dalla ricerca di un nuovo contatto con la vita dell’uomo, rivolgendosi all’uomo malato, invece che alla sola ricerca della causa della malattia.

Anche questo era qualcosa di nuovo che aveva fatto irruzione dopo la catastrofe della guerra mondiale. Si trattava di una nuova medicina clinica, che trovava in Ludolf von Krehl la figura di maggior prestigio e nella sua Pathologische Physiologie un rispettabile tentativo della medicina nel primo terzo del secolo di armonizzare i risultati della patologia sperimentale con la considerazione della personalità del malato. «Le malattie come tali non esistono; noi conosciamo solo uomini malati. Quel che prendiamo in considerazione non è l’uomo in quanto tale (anche questo non esiste), bensì il singolo malato, la singola personalità» 4: questo programma di von Krehl costituiva un rivoluzionamento di quella clinica che derivava dalla medicina come scienza naturale.

Quando nel 1920 von Weizsäcker, abbandonati i lavori di patologia sperimentale, passo all’insegnamento di neurologia all’università di Heidelberg, nella quale von Krehl aveva assunto nel 1907 la cattedra di clinica medica, entrò direttamente nell’orbita del grande clinico. Lo stimò e ne fu molto influenzato. Egli ha dedicato al maestro un lucido discorso commemorativo, in cui ha messo in evidenza che cosa comportasse per la medicina incamminarsi per la strada antropologica. Voleva dire, tra l’altro, che non è solo la scienza che struttura la malattia: «è il malato che la struttura, perché egli è una libertà, anzi un mondo a sé, dotato di volontà, consegnato alla fede; è una personalità, nel bene e nel male. E il medico struttura la malattia con lui, perché è della stessa materia. E perciò è necessario anche strutturare il medico» 5.

Nello stesso bilancio dell’opera di Krehl, von Weizsäcker riconosceva due ali nella sua scuola: la prima più incline alla vecchia scienza della natura, la seconda più sensibile alle dimensioni psichico-politiche della malattia. Von Weizsäcker va situato in quest’ultima. Contribuì validamente a spostare il centro di gravitazione della medicina verso problemi come: psiche e corpo, lavoro e malattia, nevrosi e politica sociale.

L’opera a cui von Weizsäcker ha dedicato la sua vita può essere anche descritta con una terza formula: l’introduzione della psicologia in medicina. La psicologia a cui andava il suo interesse non era certo la psicologia di Fechner o lo «strutturalismo» di Wundt, quella psicologia cioè che nasceva con il programma di usare il metodo delle scienze sperimentali per capire la mente.

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Contro di essa von Weizsäcker aveva le stesse riserve che lo avevano portato ad allontanarsi dalla medicina come scienza della natura. La psicologia che destava l’interesse del neurologo di Heidelberg era quella dinamica. Solo questa gli permetteva di rendere giustizia al soggetto e di introdurre la variabile «personalità» nella medicina clinica.

In uno scritto autobiografico dal titolo: L’intento principale della mia vita, von Weizsäcker ha fatto le dichiarazioni più esplicite sul posto che intendeva riservare alla psicologia in medicina: «Il progetto di introdurre la psicologia in medicina non consiste solo nel fatto che il gruppo ristretto delle malattie psichiche ― come l’isteria, le nevrosi ossessive o le psicosi ― debbono essere considerate come psichiche. Questo è stato sempre fatto. Si tratta piuttosto della questione se ogni malattia ― della pelle, dei polmoni, del cuore, del fegato o dei reni ― sia anche di natura psichica. Posto che sia così, il modo di vedere esclusivo delle scienze della natura, che è invalso finora, conteneva un errore, un errore che naturalmente doveva avere anche determinate conseguenze. Se infatti l’origine e il decorso delle malattie sono anche di natura psichica, si può allora supporre che il processo psichico non sia presente solo in modo secondario, ma debba piuttosto avere una funzione propria e decisiva, di guida all’evento, mentre l’elemento corporeo è solo un prodotto secondario di quello psichico. Ma se è così, ne segue una vera e propria rivoluzione della nostra concezione della natura umana e della sua malattia; perché, allora, in questo campo regnano le leggi della psicologia ― sempre che in questo campo esistano leggi» 6.

Questa e analoghe affermazioni hanno guadagnato a von Weizsäcker la fama di rappresentante della medicina psicosomatica. Il mondo accademico ha voluto vedere il suo contributo alla medicina interna nell’aver messo in evidenza l’influsso della psiche sulla malattia. Von Weizsäcker non era d’accordo con questa formulazione 7. La medicina psicosomatica non era ancora il superamento della dicotomia cartesiana in medicina: von Weizsäcker la chiamava «medicina prima della crisi». La sua medicina antropologica perseguiva un programma molto più radicale. Con un’altra formula suggestiva, von Weizsäcker parla di «introduzione della morale nella conoscenza». Ecco la citazione nel suo contesto, così come la troviamo nello stesso scritto autobiografico: «Se è vero che ogni malattia contiene sia un valore che un disvalore biografico; se io la mia malattia la ricevo tanto quanto la faccio; se essa è la soluzione di un conflitto, anche se non una buona soluzione; se il processo patologico è un oggetto che contiene un soggetto; se, per ricorrere ancora a un esempio, il danno al muscolo cardiaco è solo una traduzione e una rappresentazione materiale di un fallimento nell’amore, di un’angoscia che deriva da una colpa o che si esprime attraverso una colpa: se tutto questo è vero, non abbiamo introdotto

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solo la psicologia nella patologia, ma con la psicologia abbiamo introdotto anche l’oggetto del sentimento e della volontà, la colpa stessa, l’amore stesso, l’odio stesso e così via: la cupidigia, la vergogna, l’astuzia, la ragione, il fiorire e il tramonto delle passioni. Anche per la conoscenza delle passioni la cultura riflessa, che ha rinunciato all’ingenuità, ha creato una specie di scienza, il cui nome è la morale. In altre parole, il vero senso della psicologia moderna è l’introduzione della morale nella conoscenza» 8.

Da quando è stata fondata la medicina scientifica a opera dei greci ― da quando cioè si è scoperto che nelle cose della malattia vige la stessa oggettività che regola la natura ― la medicina ha voltato le spalle alla religione; con la svolta positivistica, ha rinunciato anche all’uomo. «Finché scienza e religione ― affermava von Weizsäcker ― sono separate l’una dall’altra, ci serviamo della psicologia».

Alla psicologia, che introduceva nella scienza medica una densa problematica antropologica, von Weizsäcker ha avuto accesso a opera di Freud. È universalmente riconosciuto a von Weizsäcker il merito di essere stato tra i primi rappresentanti della medicina accademica a prendere sul serio la psicoanalisi. Ciò gli ha valso la simpatia degli psicoterapeuti, ma lo ha isolato tra gli internisti. D’altra parte, von Weizsäcker non è diventato egli stesso psicoanalista: ha inteso rimuovere la medicina clinica a partire da una base antropologica in cui confluivano anche le conoscenze della psicoanalisi, ma rimanendo egli stesso internista. Introducendo la psicologia nella medicina interna, voleva fondare una patologia generale che non separasse le malattie psicosomatiche e organiche, ma le unisse 9.

Abbandonando il dualismo cartesiano, per lavorare con l’ipotesi dell’unita corpo-psiche, von Weizsäcker progettava una medicina all’insegna di una duplice fedeltà: la fedeltà a von Krehl e la fedeltà a Freud. La sua fu una fedeltà creativa. Con la sua medicina antropologica apriva alla comprensione della malattia un ambito che la medicina come scienza della natura si era precluso. Per dirlo in modo sintetico, con le sue stesse parole: «La malattia dell’uomo non è il guasto di una macchina, bensì la sua malattia non è altro che lui stesso; o meglio la sua possibilità di diventare se stesso» 10.

Questa formulazione si articola in due parti: l’essere e il poter/dover essere, cioè l’antropologia e l’etica. Da una parte, dunque, il malato e la sua malattia. Questa è un’affermazione molto cara a von Weizsäcker, spesso ricorrente nei suoi scritti. Essa presuppone una concezione antropologica in cui l’essere umano è visto come totalità integrata. Per recuperare la visione della totalità, bisogna andare controcorrente rispetto alla medicina contemporanea, che ha preso la via della frammentazione e della specializzazione. Il terapeuta ha perso di vista il fatto che dietro il singolo organo malato c’è la totalità del soggetto.

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Una brillante invenzione letteraria, contenuta nel romanzo di S. Rushdie I figli della mezzanotte, può esserci di aiuto per illustrare la situazione creatasi nella medicina dei nostri giorni. Nel romanzo, che è ambientato in India, un giovane medico, specializzatosi in Europa, viene chiamato a visitare la figlia di un signore locale. La ragazza accusa un dolore intestinale. Secondo i costumi locali, il medico potrà visitarla solo mediante un espediente: un grande lenzuolo, su cui è stato praticato un buco, nasconde il resto del corpo, salvo la parte malata. Scomparsi i dolori intestinali, dopo qualche giorno è la volta del ginocchio destro, poi della caviglia sinistra, poi della spalla... e così via. Il lenzuolo con il buco, manovrato dalle domestiche, si sposta, lasciando vedere, l’uno dopo l’altro, frammenti di corpo. Solo dopo tre anni, finalmente, un provvidenziale disturbo agli occhi della ragazza permetterà al buco del lenzuolo di inquadrare il suo volto. Vedendosi, il medico e la paziente si scambieranno un sorriso di intesa e di amore. La sequenza delle malattie si rivelerà allora come un astuto stratagemma della ragazza. Le singole parti del corpo appartenevano a un soggetto desiderante, che si fa riconoscere come tale ed è capace di accendere un analogo desiderio.

La medicina antropologica di von Weizsäcker, introducendo il soggetto, attua una duplice operazione: recupera la totalità, in una prospettiva olistica, e indica la presenza, dietro ogni malattia, di un soggetto desiderante. Questi struttura la sua malattia, ne fa un elemento della propria biografia, dice, con il linguaggio del corpo, qualcosa a se stesso e .al suo ambiente. Solo se si tiene presente ciò che la malattia è (antropologia), tenendo uniti fattualità e significato, si può aprire la malattia al poter essere del malato (etica); ovvero ― usando l’espressione di von Weizsäcker ― considerare la malattia in quanto essa offre al malato «la possibilità di diventare se stesso».

NOTE

1Tratto da Id., Guarire tutto l’uomo, Edizioni Paoline, Milano, pp. 105-112.

«Già da studente ero convinto che la vittoria sulla schiavitù del meccanicismo non si potesse ottenere mediante un sistema di filosofia della natura parallelo o sovrapposto, bensì mediante una trasformazione della ricerca», in Natur und Geist, cit., p. 100.

2 Si vedano le considerazioni svolte più sopra, che autorizzano von Weizsäcker ad accusare l’approccio medico nel suo insieme di mancare l’umano, proprio perché considera l’uomo come un pezzo di natura tra gli altri.

3 Natur und Geist, p. 101.

4 L. von KrehlKrankheitsform und Personlischkeit, Leipzig 1929, p. 17.

5 V. von WeizsäckerLudolf von Krehl. Geichtnisrede, Leipzig, p. 10.

6 V. von WeizsäckerMeines Lebens hauptsüchliches Bemühen, in H. KernWegweiser in der Zeitwende, München-Basel 1955, p. 245.

7 V. v. WeizsäckerNatur und Geist, p. 98.

8 V. v. Weizsäcker, «Meine Lebens...», cit., p. 253.

9 V. v. WeizsäckerNatur und Geist, pp. 103ss.

10 V. v. WeizsäckerWegepsychophysischer Forschung, in Arzt und Kranker, p. 196.