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Sandro Spinsanti
L'ETICA ALL'OMBRA DEL «TAO»
in Sanità Management, Il Sole 24 Ore
n. 3, marzo 2002, pp. 5-7
Priorità & scelte ― Dalla tradizione cinese i criteri delle precedenze in medicina
Per decidere tra esigenze potenzialmente in conflitto, è sufficiente fare ampio uso di quel comportamento retto che nasce dal rispetto delle cose.
Perché solo in situazioni rare la giusta azione si impone da sé
«Quando il vero Tao va perduto, al suo posto subentra la morale. Se questa fallisce, si reclama a gran voce la legge. Se anche questa fallisce, regna il caos».
Questa sentenza del Tao te ching di Lao Tsu, che per 2.500 anni ha fornito ispirazione al pensiero e alla cultura cinesi, può offrire una traccia per riflettere sull’etica delle priorità in medicina. Questa formulazione concisa evoca uno scenario di priorità (al plurale!), potenzialmente o attualmente in conflitto, all’interno del quale bisogna scegliere, con l’aiuto dell’etica. Per la nostra riflessione è sufficiente un concetto intuitivo del Tao, identificato con quel comportamento retto che nasce dal rispetto delle cose. Nelle situazioni più felici ― e rare ― la giusta azione non dobbiamo deliberarla, programmarla, giustificarla e sforzarci di realizzarla: si impone da sola. Quando questa armonia è rotta, è necessario ricorrere a un sistema di regole, per guidare l’azione. Tra le varie forme di regole previste dal libro del Tao noi occidentali collocheremmo, tra la morale e la legge, il sistema normativo della deontologia. Anche per quanto riguarda quel nodo di comportamenti contrastanti a cui facciamo riferimento quando parliamo della necessità di stabilire delle priorità in medicina, sembra giunto il momento di ricorrere a qualche sistema di 5 regole formalizzate, perché... “il Tao è andato perduto”. Nel modello ideale di buona medicina che ci è stato lasciato in eredità dalla tradizione il problema non sembrava porsi, in quanto gli interessi del medico e quelli del paziente erano allineati e confluenti.
La coscienza del medico ― chiamato, secondo la formula standardizzata, a prendere le decisioni “in scienza e coscienza” ― era la migliore garante che il corso delle cose era rivolto a garantire il migliore interesse del paziente, che al medico si affidava. Soprattutto la tradizione della medicina liberale ha sostenuto questa strutturazione dei rapporti, coprendo con il manto della deontologia professionale ogni scenario di conflitto e tendendo a escludere, come un’ingerenza indebita, ogni intervento di terze parti nel rapporto medicopaziente, compresa la presenza stessa dello Stato, con la sua organizzazione pubblica dei servizi sanitari. L’ostilità degli ordini professionali dei medici alle forme socializzate di assistenza sanitaria, in nome del modello liberale, si è espressa ovunque. Quando le assicurazioni obbligatorie di malattia sono diventate la quasi totalità dell’assistenza sanitaria, i medici si sono opposti a quello che veniva definito “pagamento da parte di terzi”, così come l’American Medical Association negli anni ’30 del Novecento
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era contraria all’assicurazione sanitaria nazionale: sosteneva che l’interferenza pubblica attraverso i sistemi assicurativi era chiaramente contraria agli interessi del paziente, difesi dall’etica medica tradizionale. Oggi lo scenario è del tutto cambiato. Il conflitto di interessi non è più un’ipotesi impronunciabile per descrivere ciò che avviene nell’ambito della medicina. La presenza del tema nel dibattito dei nostri giorni è documentata da copiosi riferimenti bibliografici, soprattutto in inglese: Medline fornisce più di 200 voci riferite al conflitto di interessi soltanto negli anni 1997 e 1998.
Oggigiorno il conflitto d'interessi non è più un’ipotesi impronunciabile per dire quel che accade in campo medico
L’inventario delle situazioni studiate è molto ampio: il conflitto può riguardare il rapporto tra ricerca e pratica clinica (gli obblighi dei ricercatori nei confronti del progetto di ricerca possono confliggere con i loro obblighi nei confronti dei singoli pazienti), tra didattica e terapia (l’uso dei pazienti per l’apprendimento degli studenti di medicina contrasta con il diritto del paziente di essere informato sull’abilità di chi interviene su di lui), tra Sanità pubblica e medicina privata, tra gli interessi delle aziende farmaceutiche e quelli di una medicina che si propone di evitare i pericolosi abusi consumistici dei farmaci. Per questo sarà opportuno esercitare una vigilanza linguistica e parlare di conflitto di interessi, al plurale. Non esiste, infatti, solo l’area degli interessi economici tra ricercatori e sponsor, nonché tra la diffusione della conoscenza scientifica e le attività commerciali di impresa: gli interessi, e i loro possibili conflitti, si aprono su un ampio ventaglio.
Tra i vari ambiti di conflitto, quello che ha maggiormente mobilitato l’attenzione e il dibattito è il conflitto generato dai sistemi di compensazione dell’attività del medico e di finanziamento degli ospedali, con le loro ricadute sui comportamenti dei medici. Sotto accusa è il sistema dei Drg o procedure analoghe che compensano le prestazioni sanitarie secondo una modalità prospettica. Soprattutto suscita perplessità il sistema della managed care che si sta diffondendo negli Stati Uniti, che prevede accordi tra le organizzazioni e gli erogatori dei servizi ― ospedali, specialisti, singoli medici ― sulla base di un compenso globale e forfetario a quota capitaria (capitation), ovvero di una quantità di denaro determinata per ogni paziente, indipendentemente dall’effettiva erogazione di prestazioni. La preoccupazione che emerge è che venga erosa alla base la fiducia stessa nei confronti del medico, se il suo vantaggio economico è inversamente proporzionale a quanto fa per il paziente. Tutti i sistemi di pagamento prospettico invertono la direzione dell’ago della bilancia: quando il medico è pagato all’atto, ha interesse a erogare il maggior numero di prestazioni al paziente, mentre con questa formula meno fa, più guadagna.
L’allarme suscitato dai nuovi sistemi di finanziamento è giustificato, anche se tende a eccedere nella misura. Soprattutto viene enfatizzata la novità del conflitto, mettendo in ombra il fatto che un possibile conflitto di interessi esiste in ogni sistema di retribuzione delle prestazioni sanitarie. Un’accurata analisi del problema delle compensazioni in base alla quota capitaria, pubblicata nel New England Journal of Medicine (1998, vol. 339, 3, pp. 689-93), giunge alla conclusione che “ridurre a zero i conflitti di interesse economici non è né possibile né auspicabile”.
La compensazione prospettica inverte l’ago della bilancia e mette a rischio l’integrità delle scelte dei camici bianchi
Gli autori dell’articolo formulano tuttavia alcune opportune linee guida etiche per minimizzare i potenziali conflitti di interessi legati al sistema di compensazione prospettico, senza compromettere l’integrità etica delle decisioni mediche relative alle cure che spettano ai singoli pazienti: gli incentivi economici devono rispettare rigorose caratteristiche circa la quantità del compenso, il numero di medici e pazienti da coinvolgere; bisogna accuratamente definire il target ― non compensare direttamente la diminuzione di specifici servizi ―; è necessario mantenere l’equilibrio tra incentivo economico a breve termine, legato alla diminuzione dei servizi, e l’incentivo ai medici affinché affrontino quanto è necessario per promuovere la prevenzione, la soddisfazione dei pazienti e il miglioramento degli outcome clinici.
Il conflitto di interessi legato alle risorse e ai sistemi di finanziamento delle prestazioni si innesta su un conflitto più fondamentale, sul quale da circa trent’anni va riflettendo la bioetica: il contrasto tra i valori che sottendono le scelte del professionista sanitario e quelli a cui si ispira il paziente (cittadino). Con buona approssimazione, possiamo dire che il modello tradizionale di rapporto medico-paziente attribuiva al medico la responsabilità di
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scegliere quale percorso diagnostico-terapeutico il paziente dovesse seguire. Al paziente spettava il dovere morale di adeguarsi alle prescrizioni (compliance). La priorità che spettava al medico si fondava, oltre che su un’asimmetria conoscitiva, anche su una ripartizione molto squilibrata del potere. Per riprendere una formulazione molto concisa di un medico che rappresentava l’ideologia pre-moderna: «Il medico governa il corpo così come il sovrano governa lo Stato e Dio governa il mondo» (Rodrigo de Castro, Medicus Politicus, sec. XVII). La priorità del punto di vista medico non riguarda solo le conoscenze scientifiche, ma tracima nell’ambito delle competenze morali. Al medico spetta non solo decidere il corso dell’azione terapeutica, ma la gestione dell'informazione: gli è riconosciuto il diritto di sottrarre l’informazione al paziente, se ritiene che l’ignorare la diagnosi e la prognosi gli reca un vantaggio. Di questo modello dobbiamo parlare come di una realtà ormai definitivamente consegnata al passato. L’irruzione della modernità ― che equivale, in termini di storia della cultura, alla rivoluzione liberale ― in medicina ha portato l’esigenza di rendere conto anche al paziente di quanto si sta facendo a suo beneficio. Non basta fornire servizi di provata efficacia (evidence-based medicine): bisogna anche che ciò sia fatto “nel modo giusto”. Ciò implica il rispetto dei valori soggettivi del paziente, la promozione della sua autonomia, la tutela della diversità culturale, intesa come un diritto rivendicabile.
Rispetto a un passato anche molto recente, in cui la medicina era organizzata in modo autoritario e gestita con stile paternalistico, oggi si richiede un coinvolgimento attivo del paziente nelle decisioni che lo riguardano (cfr. Comitato nazionale per la bioetica, «Informazione e consenso all’atto medico», 1992).
Buona medicina è quella che, oltre all’appropriatezza clinica, valutata dal professionista sanitario, considera auspicabile e rende possibile che il paziente partecipi alle decisioni che si ripercuotono sul suo benessere. A questo nuovo ruolo si allude quando sinteticamente viene proposto l’empowerment del cittadino quale nuovo modello di rapporto, che deriva dall’irruzione dei valori della modernità in medicina.
Non basta fornire servizi di provata efficacia: deve esser fatto «nel modo giusto», nel rispetto dei valori soggettivi del paziente
Possiamo parlare di una “priorità del paziente” ― del suo punto di vista e delle sue preferenze, che nascono dal suo concetto di vita e di qualità della vita ― rispetto al medico? Ci rendiamo conto che questa prospettiva comporta una destrutturazione profonda rispetto alla tradizione. In pericolo non c’è solo il potere del medico: una priorità assoluta data alle preferenze del paziente può costituire una minaccia per la sua sicurezza e per la sua salute. La domanda di terapie senza fondamento scientifico e senza efficacia provata concretizza il pericolo che incombe sul paziente. Anche l’amministratore pubblico e il manager aziendale hanno ragioni per temere la priorità data alla domanda del cittadino, al rispetto delle sue preferenze e all’adozione del criterio della “soddisfazione dell’utente” per valutare la qualità dei servizi. C’è motivo di credere che la strategia della priorità attribuita alla domanda promuova in Sanità un atteggiamento consumista e porti la spesa sanitaria fuori controllo. Anche nella prospettiva dell’“aziendalizzazione” del servizio sanitario pubblico non si può prescindere dalla funzione tradizionale dell’“alleanza terapeutica”, che riflette l’asimmetria del sapere e del potere, ma obbliga il sanitario a mettere onestamente sia l’uno che l’altro a servizio del malato,“difendendolo da ogni cosa ingiusta e dannosa” (giuramento di Ippocrate).
State attenti all’eccesso di empowerment per il cittadino: è l’alleanza terapeutica a fornire la miglior tutela per il malato
L’alleanza terapeutica si traduce anche in uno sforzo di prevenire che il necessario processo di empowerment si traduca nel lasciar solo il paziente proprio nel momento della sua maggiore fragilità, in quanto rischia di diventare vittima del mercato all’esterno e delle emozioni all’interno.
In sintesi, la necessità di definire le priorità in medicina, per i conflitti di interessi che nascono quando un punto di vista o un valore tende a imporsi sugli altri, ci obbliga a riscrive-re le regole del gioco tra tutti coloro che sono coinvolti nel complesso sistema di produzione del sapere scientifico in medicina ed ella sua traduzione in cure erogate: ricercatori, aziende farmaceutiche, divulgatori scientifici, professionisti sanitari, amministratori pubblici, cittadini. È impossibile eliminare i conflitti di interessi, presenti pervasivamente in ogni ambito della medicina; molto tuttavia si può fare per aumentare la trasparenza ed evitare così la lenta deriva verso il caos.