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Sandro Spinsanti
BIOETICA IN SANITÀ
La Nuova Italia Scientifica, Roma 1993
pp. 284
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INDICE
11 Prefazione di Pietro Paci
13 Presentazione di Antonio Panti
17 Introduzione. La riflessione bioetica in sanità: perché e come
Parte prima. ORIENTAMENTI
23 1. Deontologia, etica medica, bioetica: rapporti e differenze
23 1.1. La bioetica definita per viam negationis
25 1.2. L’etica medica come teologia morale applicata alla medicina
27 1.3. L’etica medica come area della filosofia morale
28 1.4. L’etica professionale in rapporto all’etica di una società
31 1.5. La deontologia medica e le sue funzioni
33 1.6. Strategie per vincere l’angoscia
37 2. Il giudizio morale e la sua giustificazione
37 2.1. La permanente lezione di Valentina
40 2.2. La giustificazione dei giudizi morali
45 2.3. I sistemi morali
49 3. Diritti e doveri in sanità
49 3.1. Quando i riferimenti tradizionali traballano
52 3.2. La medicina entra nella modernità
56 3.3. Diritti di “terza generazione”
60 3.4. La cura giusta si decide in due
65 4. Qualità della vita e decisioni cliniche
65 4.1 La qualità della vita: descrizione, valutazione, prescrizione
65 4.2 Si può misurare la qualità della vita?
72 4.3. Qualità della vita e sacralità della vita come criteri per le decisioni cliniche
79 5. Bioetica e religione
79 5.1. L’apporto delle religioni alla bioetica
82 5.2 Una “bioetica cattolica”?
90 5.3. Il contributo dello studioso cattolico a una bioetica ecumenica
95 6. La bioetica e l’orizzonte transpersonale
95 6.1. La coscienza della vita e gli obblighi etici
98 6.2. Lo scenario personalista per la bioetica
103 6.3. La bioetica nel paradigma transpersonale
107 7. Il ruolo della famiglia nelle decisioni cliniche
107 7.1. “Anche i vivi hanno i loro diritti”
112 7.2. Il posto della famiglia nei codici deontologici e nelle direttive di etica
114 7.3. Prendersi cura e rispettare la giustizia: due orientamenti etici?
117 7.4. Prendere la famiglia sul serio
121 8. Bioetica e biodiritto
121 8.1. Medicina e diritto
125 8.2. E opportuno legiferare sulle tematiche bioetiche?
128 8.3. Il biodiritto nell’agenda del legislatore italiano
130 8.4. La regolamentazione delle tecnologie riproduttive in Italia
137 9. La giustizia e la distribuzione delle risorse sanitarie
137 9.1. La storia di Coby: una lezione dal lontano Oregon
141 9.2. Il contenimento dei costi: quale impatto sul rapporto medico-paziente?
146 9.3. Equità tra le generazioni
153 10. I comitati di etica
153 10. 1. I comitati e lo sviluppo della bioetica
156 10.2. Il comitato di etica come luogo del dialogo
159 10.3. Del buono e del cattivo uso dei comitati di etica
161 10.4. La diffusione in Italia
Parte seconda. RISORSE
169 11. Il Kennedy Institute of Ethics
169 11.1. Il profilo istituzionale
170 11.2. Le pubblicazioni
173 11.3. Servizi di informazione e documentazione
173 11.4. Programmi di insegnamento
175 12. Lo Hastings Center
175 12.2 L’organizzazione del Centro
176 12.2. I progetti di ricerca
178 12.3. La formazione
179 12.4. Le pubblicazioni
180 12.5. L’opera di Daniel Callahan
185 13. Il Park Ridge Center
191 14. Le commissioni statunitensi
191 14.1. Il dibattito pubblico sulla bioetica negli Stati Uniti
193 14.2. La Commissione nazionale (1974-1978)
194 14.3. La Commissione presidenziale (1980-1983)
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199 15. Il Comitato nazionale consultivo di etica in Francia
205 16. La Scuola spagnola di Humanidades Médicas
211 17. Le istituzioni soprannazionali europee
211 17.1. Una bioetica unica per l’Europa?
215 17.2. Direttive per le legislazioni nazionali
218 17.3. Iniziative culturali soprannazionali
221 18. Il Comitato nazionale di bioetica in Italia
235 19. Centri e iniziative per la diffusione della bioetica in Italia
Appendice. DOCUMENTI
243 Appendice 1. Il Rapporto Belmont. Principi di etica e linee-guida per la ricerca che utilizza soggetti umani (Commissione nazionale americana, 1979)
255 Appendice 2. I principi etici. Rapporto finale della Commissione presidenziale americana
261 Appendice 3. Decisioni cliniche e consenso informato. Rapporto della Commissione presi-
denziale americana
267 Appendice 4. Allocuzione del presidente Mitterrand al Comitato consultivo nazionale francese
di etica
271 Appendice 5. Parere sulla sperimentazione di nuovi trattamenti nell’uomo (Comitato nazio-
nale francese di etica)
277 Appendice 6. Informazione e consenso all’atto medico (Comitato nazionale italiano di bioetica)
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PREFAZIONE
La bioetica sta assumendo un’importanza crescente per i medici e per tutti gli operatori di Ssn, e sempre più appaiono evidenti le sue connessioni con la deontologia professionale, con la medicina legale, con l’educazione sanitaria.
La coscienza di questo valore crescente si va facendo lentamente strada nelle categorie professionali; tuttavia siamo ancora ben lontani in Italia dagli approfondimenti e dai rapporti stessi che esistono in Europa tra bioetica e sanità. Basti ricordare come ultimo avvenimento il progetto di legge francese già presentato all’Assemblea nazionale di quel paese, discutibile certamente su alcuni punti, ma orientato decisamente a far entrare i concetti bioetici in sede legislativa.
Il fatto che la bioetica non possa essere, almeno per ora, normativa, ma avere valore critico e orientativo per le categorie che operano nella sanità, aggiunge valore alla sua posizione attuale, invitando tutti gli uomini di buona volontà a trovarsi d’accordo su alcuni principi generali indispensabili per salvaguardare il valore dell’uomo di fronte alle nuove tecniche e agli impensati sviluppi della medicina.
Per arrivare a dei risultati occorre, quindi, innanzitutto che gli operatori prendano coscienza del problema.
Per cominciare a fare questo nella Usl 10H si sono organizzati dei corsi, aperti a tutti gli operatori dell’area fiorentina, e rivolti proprio a fornire le possibilità di acquisizione di una “coscienza critica” dell’operare medico e sanitario nei riguardi della persona umana.
L’impegno professionale e morale del prof. Spinsanti è stato determinante sia nei riguardi degli operatori sia nei riguardi delle personalità chiamate a collaborare alla riuscita di questo corso.
È lecito perciò sperare che questo testo costituisca un valido
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strumento di riflessione sui problemi e di promozione di una consapevolezza bioetica.
Pietro Paci
Amministratore straordinario Usl 10H - Firenze
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PRESENTAZIONE
Dopo Bioetica e antropologia medica, questo è il secondo volume di etica medica che Sandro Spinsanti trae da esperienze toscane. Ne siamo insieme lieti e orgogliosi. Non solo per l’amicizia e la stima che ci lega all’autore, ma perché, nel vasto e complesso quadro delle iniziative connesso con l’estendersi di questa disciplina, la nostra Regione tenta, e con successo, di intraprendere qualcosa di peculiare.
Forse niente di quel che stiamo facendo in Toscana è assolutamente nuovo. La novità consiste nella coincidenza di volontà e aspirazioni che spesso sono separate. La comprensione della Regione e di alcune Usl, guidate da amministratori particolarmente sensibili come il prof. Pietro Paci, ha consentito di effettuare un primo vasto corso metodologico, teso non solo a diffondere la sensibilità ai problemi etici, ma a creare esperti nelle diverse realtà territoriali toscane. Così si è concretizzata sia una interdisciplinarietà come abitudine di lavoro ― e ciò già rappresenta di per sé un primo notevole risultato ― sia una opportuna ed estesa “partenza dal basso”, cioè quella diffusa percezione dei problemi etici che resta uno degli scopi fondamentali della formazione di tutti gli operatori sanitari.
La Regione Toscana ha promulgato una legge per la costituzione di un Comitato regionale di etica che, in sintonia con le linee guida recentemente pubblicate dal Comitato nazionale per la bioetica, ha l’ambizione, tra l’altro, di avviare un esteso processo formativo. Già a distanza di un anno dal primo corso di metodologia etica ― i cui materiali sono confluiti nel volume Bioetica e antropologia medica ― si tengono giornate di sensibilizzazione e di informazione nelle Usl toscane. Siamo legittimati a interpretare questo fatto come il segno che l’iniziativa non è caduta nel vuoto, ma ha risposto a un’esigenza che molti, non soltanto alcune rare
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persone dotate di maggior sensibilità alle problematiche etiche, ormai avvertono.
Tuttavia, il fatto più significativo di questa esperienza toscana risiede nel ruolo svolto dall’Ordine professionale. L’Ordine dei medici di Firenze si è fatto promotore dei corsi regionali, fautore e sostenitore della legge sulla costituzione del Comitato regionale di etica, attento a estendere il dibattito sull’etica tra i medici mediante la propria stampa e le decisioni del Consiglio (tra le quali segnaliamo la predisposizione di moduli per la raccolta del consenso informato nelle differenti situazioni cliniche). Il Consiglio dell’Ordine di Firenze ritiene che i medici debbano formarsi alla riflessione bioetica e abituarsi ad affrontare le questioni cliniche anche sotto questo aspetto, pur non presumendo di divenire specialisti di bioetica o filosofi della medicina.
I profondi e radicali mutamenti sociali, il susseguirsi delle scoperte scientifiche, l’introduzione di tecnologie sempre più raffinate, lo spostamento dei parametri morali ippocratici verso un maggior rispetto dell’individuo, i gravi problemi provocati dall’affidamento dell’assistenza a complessi sistemi di protezione della salute, infine i dilemmi spesso tragici nati dalla necessità di allocare risorse limitate in risposta a bisogni sempre crescenti: tutto questo genera una realtà complessa, espressione di una trasformazione epocale che la medicina non può vivere soltanto come delega affidata alla politica o sottratta al confronto col corpo sociale. È necessario, non solo di fronte a situazioni eticamente estreme ma anche nella prassi quotidiana, disporre di uno strumento metodologico che consenta l’acquisizione di algoritmi interpretativi della complessità dell’esperienza, tenti di indicare i confini di nuove responsabilità (compresa quella nei confronti delle future generazioni), proponga una rinnovata alleanza tra medico e paziente a fondamento di una deontologia capace di adesione al reale, pur nel rispetto dei principi immutabili del giuramento ippocratico.
Se il deteriorarsi dell’antica dominanza della professione medica, di fronte sia all’autonomia del paziente e delle altre professioni sanitarie, sia alla complessità dei moderni sistemi assistenziali, spiazza il medico dalla sua posizione di predominio rispetto alle decisioni sulla salute e, ancor di più, sull’uso delle risorse, a maggior ragione debbono essere vivi, in una professione che osa appellarsi a una vocazione, i principi etici che sottendono all’uso della scienza, alle garanzie della coscienza, all’adesione agli ideali propri della tradizione medica.
È quindi compito degli organi della professione, in primo luogo
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dell’Ordine, contribuire alla creazione di strumenti che illuminino l’opera degli operatori sanitari, medici e non medici, che prestino o meno il loro servizio al letto del malato, abituando tutti a comprendere e soppesare i valori in giuoco in ogni decisione e a ispirare il proprio comportamento alla tolleranza e al rispetto delle concezioni individuali sulla qualità della vita.
Riteniamo, con Pellegrino e Thomasma (Per il bene del malato, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1992), che il buon paziente e il buon medico possano incontrarsi nel segno della “beneficità nella fiducia”, senza eccessi di autonomia o di paternalismo che sminuiscono la individualità di entrambi. La comprensione, l’empatia, l’adesione a valori morali, l’assunzione responsabile delle conseguenze delle proprie azioni non si imparano a scuola. Tuttavia, un buon corso di etica può servire. Se il sonno della ragione genera mostri, l’etica è una buona sveglia.
Antonio Panti
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La riflessione bioetica in sanità: perché e come
Ogni libro ha una storia: quella della fatica dell’autore per passare dai primi abbozzi di idee all’opera compiuta. Non sempre questa storia merita di essere raccontata. Se il processo ha avuto un risultato felice, il prodotto finale rende superfluo il racconto: l’autore e il lettore possono tacitamente condividere il piacere intellettuale che il risultato procura. In caso contrario, dilungarsi sulle fatiche e difficoltà assomiglia più a una excusatio non petita, che non fa che rendere ancora più imbarazzanti i rapporti con il povero lettore.
Oltre a questa storia, il libro è talvolta preceduto da una serie di avvenimenti e circostanze la cui conoscenza può essere di aiuto nella lettura. Tra le vicende che hanno accompagnato la nascita di questo libro, è opportuno ricordare il progetto della Regione Toscana di avviare una serie di corsi di formazione in bioetica per operatori sanitari del servizio pubblico.
Dopo il corso pilota tenuto a Montecatini nella primavera del 1990 (i contenuti teorici del corso sono riportati nel volume Bioetica e antropologia medica, La Nuova Italia Scientifica/Regione Toscana, Roma, Firenze 1991), ci si è resi conto che l’intuizione iniziale — utilizzare la bioetica quale strumento per la formazione permanente degli operatori della sanità ― rispondeva a un bisogno reale e trovava buona accoglienza nei sanitari. Partiva così, nell’autunno 1991, la seconda tappa del progetto: dieci corsi, decentrati su tutto il territorio della Regione, con l’obiettivo di coinvolgere alcune centinaia di operatori.
La formazione prevista percorre i due canali della teoria e della pratica: fornisce le nozioni fondamentali di bioetica e di antropologia medica e addestra in modo metodico ad analizzare i casi clinici, includendo le dimensioni sociali, psicologiche ed etiche nella considerazione globale della risposta medica al bisogno di
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salute. Non meno di questo, infatti, si richiede oggi per fare “buona medicina”.
Durante lo svolgimento di questa fase del progetto è stata avvertita la necessità di una formazione di secondo livello per operatori sanitari che, avendo già partecipato al primo corso o avendo già avuto un accesso di altro tipo a queste problematiche, desideravano avere una visione più sistematica; e ciò non solo a fini personali di conoscenza, ma anche con la prospettiva di un loro utilizzo istituzionale in un progetto più ampio di formazione in bioetica. Il piano sanitario della Regione Toscana, infatti, ha previsto ― nella legge di programmazione sanitaria regionale del 1990 ― l’istituzione di comitati per l’etica professionale in ogni Usl. Se questa audace progettazione dovrà un giorno diventare realtà, sarà necessario poter contare non solo sulla buona volontà degli operatori, ma anche su persone formate a questi compiti.
Su iniziativa della Usl 10H, è stato organizzato un corso di perfezionamento in bioetica, per una trentina di operatori del servizio sanitario pubblico dell’area fiorentina. Nei mesi di aprile e maggio 1992, l’incantevole scenario di Villa Mondeggi, nel Chianti fiorentino, ha raccolto il gruppo dei volenterosi. Ogni giornata del corso era articolata in tre sezioni: bioetica sistematica, analisi di documenti rilevanti per l’etica professionale, conoscenza di risorse per un accostamento serio alla bioetica. Orientamenti, risorse, documenti: la triplice scansione è rintracciabile anche nel presente volume, che raccoglie i materiali di quel corso.
La sezione sugli orientamenti ha un intento più ampio rispetto alla trattazione della metodologia della bioetica clinica in senso proprio. Non entra nel dettaglio dei contenuti, se non in qualche esemplificazione. Per questo non intende sostituire un manuale, che affronti in modo sistematico i singoli problemi che il sanitario può incontrare (per esemplificare; diagnosi prenatale, sterilizzazione volontaria, prelievo di organi per trapianto, decisione di non sottoporre a rianimazione malati nello stadio terminale ecc.). Pur mantenendosi su un piano più generale, vuole tuttavia rimanere aderente alle preoccupazioni dei sanitari, i quali hanno in mente i problemi concreti del loro operare, anche quando si cimentano con tutta serietà con la dimensione etica della loro professione. La bioetica sistematica che viene loro offerta non pretende, quindi, di essere un “bignami” per aspiranti filosofi. Vuol offrire le categorie fondamentali che permettono di articolare il discorso etico, senza allontanarsi troppo dal tono discorsivo con cui sono state originariamente proposte.
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Nella sezione delle risorse, è stata operata una scelta ― soggettiva, ma si spera non arbitraria ― tra le principali realtà istituzionali alle quali si può rivolgere chi desidera un’informazione più approfondita, una documentazione più completa o una formazione continua. Sono presi in esame centri, istituti, scuole, opere maggiori e riviste, presenti sia in America sia in Europa.
I documenti riprodotti sono quelli che il sanitario che vuol coltivare la bioetica ― da amateur, ma con competenza ― troverà indispensabili al proprio livello di approfondimento della disciplina. Non sono certamente tutti quelli utili, ma è agevole completare quelli qui riprodotti con due altre raccolte disponibili per il lettore italiano: i Documenti di deontologia ed etica medica, a cura di S. Spinsanti, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1985 (nella raccolta sono riportati 33 documenti, suddivisi in 4 sezioni: documenti dell’eredità storica; codici etici e dichiarazioni; diritti in campo biomedico; codici deontologici) e Biologia, medicina ed etica, testi del magistero cattolico raccolti e presentati da P. Verspieren, Ed. Queriniana, Brescia 1990. Dei documenti qui riprodotti va detto che, malgrado la loro importanza come testi fondamentali di riferimento, non erano ancora disponibili per il lettore italiano. La traduzione dei documenti ― meno ovviamente quello sull’informazione e consenso all’atto medico, del Comitato italiano di bioetica ― è dell’autore.
Nell'affidare al lettore benevolo questo libro, l’autore sa che, se l’impalcatura concettuale è la stessa che ha retto il corso tenuto a Villa Mondeggi, qualcosa è andato irrimediabilmente perduto. Non solo il fascino di quella mirabile costruzione, che sa armonizzare abitazione e giardino, architettura e paesaggio, memoria del passato e innovazione funzionale, ma soprattutto il fresco e costruttivo entusiasmo dei partecipanti, che hanno dato al corso la forma di un vero e proprio work in progress.
Inoltre numerosi interventi, che pur hanno efficacemente contribuito ad ampliare le prospettive, non hanno potuto essere ripresi in quest’opera più sistematica. È un dovere di giustizia ricordare almeno le relazioni di Mauro Barni, Angelo Passaleva, Giannozzo Pucci, Massimo Martelloni, Piero Moggi e Antonio Panti. Mentre obbligo di gratitudine è ricordare quanto il corso deve al prof. Pietro Paci, Amministratore straordinario della Usl 10H di Firenze, e al dott. Carlo Poggiali per la progettazione, e alle signore Giuseppina Porciatti e Rosella Borghi per l’organizzazione.
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Parte prima
ORIENTAMENTI
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Deontologia, etica medica, bioetica:
rapporti e differenze
1.1. La bioetica definita per viam negationis
Una delle prime preoccupazioni degli studiosi che hanno contribuito alla nascita della bioetica è stata quella di definire il nuovo ambito disciplinare, delimitandolo rispetto a quelli più vicini: la deontologia e l’etica medica. Ogni sanitario sa, per esperienza diretta, che la propria attività è sottoposta a un insieme di restrizioni che la limitano e allo stesso tempo definiscono l’ambito della “buona medicina”. Ci sono cose che si devono o non si devono fare. La socializzazione nella professione comprende anche l’interiorizzazione di questa rete invisibile di norme. Relativamente al complesso di regolazioni del comportamento che va sotto il nome di bioetica, è legittimo domandarsi: in che rapporto sta con il tradizionale bagaglio di normatività che accompagna la cura della salute, la pratica della medicina e la ricerca biomedica?
È istruttivo, prima di rispondere a tale domanda, ascoltare l’esperienza diretta di Warren Reich, il curatore dell’Encyclopedia of Bioethics. L’opera, pubblicata nel 1978, ha contribuito in modo decisivo all’affermazione della nuova disciplina e del neologismo che la denota. W. Reich testimonia che, al momento della progettazione dell’Enciclopedia, all’inizio degli anni Settanta, si è esitato se chiamarla “di bioetica” o “di etica medica”: le due designazioni venivano sentite come equivalenti. L’opzione per il termine “bioetica” fu quasi casuale. In ogni caso, fu assunto solo il termine, non l’accezione originaria in cui Van Rensslaer Potter l’aveva proposta per la prima volta, solo pochi anni prima 1.
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Oltre a fornire la definizione di bioetica che è divenuta ormai classica («Studio sistematico del comportamento umano nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute, in quanto tale comportamento è esaminato alla luce dei valori e dei principi morali»), l’Enciclopedia descriveva nella sua introduzione l’area disciplinare della bioetica, con la preoccupazione esplicita di demarcarla dall’etica medica. In questo disegno la bioetica comprendeva l’etica medica; il suo oggetto era presentato come più ampio di quello proprio dall’etica medica, in quanto quest’ultima veniva fatta coincidere con i problemi valoriali che sorgono nel rapporto medico-paziente.
Secondo l’Enciclopedia, l’eccedenza della bioetica rispetto all’etica medica si manifesta in quattro ambiti:
― comprende i problemi valoriali che sorgono in tutte le professioni della salute, e quindi non soltanto nella professione del medico in senso stretto (da questo punto di vista, bioetica si presta meglio di etica medica a circoscrivere una disciplina che riguarda, allo stesso titolo, i problemi etici che può incontrare un medico o un’infermiera, uno psicologo o un amministratore della sanità, un chirurgo o un farmacista);
― si estende alla ricerca biomedica e a quella condotta dalle scienze psicosociali, indipendentemente dalla portata terapeutica che tali ricerche possono avere (la necessità di trovare regole etiche per la ricerca, e non solo per la pratica clinica, è stata uno dei principali motivi della rapida crescita della bioetica);
― include un ventaglio più ampio di problemi sociali, come quelli relativi alla salute pubblica, alla medicina del lavoro, alla salute a livello internazionale e all’etica del controllo demografico (mentre l’etica medica è notoriamente centrata sui problemi che si presentano al sanitario nella cura del singolo malato, nel rapporto duale medico-paziente);
― si estende oltre la vita e la salute dell’uomo, in quanto comprende problemi relativi alla vita animale e vegetale, per esempio temi relativi alla sperimentazione con gli animali e alla difesa dell’ambiente.
La definizione di una disciplina attraverso il suo oggetto materiale ― il quale, nel caso della bioetica, si presenta fenomenologicamente di maggiore ampiezza rispetto al contenuto della tradizionale
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etica medica ― non esaurisce l’impegno a tracciarne un completo profilo. Molti altri elementi, soprattutto quelli formali, contribuiscono a costituire lo statuto della bioetica quale disciplina specifica. In altre parole, la bioetica dimostra la sua originalità nei confronti dell’etica medica che l’ha preceduta non solo perché si occupa di temi che questa ignorava, ma soprattutto perché anche le tematiche comuni le tratta in modo diverso.
La grande novità è il metodo. Se la bioetica è diventata negli ultimi vent’anni una disciplina, o quanto meno un argomento molto frequentato dal dibattito pubblico, ciò non è dovuto unicamente alla necessità di trovare risposte a problemi inediti ― come quelli dell’ingegneria genetica o ai malati in coma vegetativo permanente ― ma al clima nuovo in cui si sono collocati anche dibattiti etici tra i più tradizionali: per esempio, quelli relativi all’aborto volontario e all’eutanasia. È il contesto di pluralismo etico e di secolarizzazione in cui si esercita oggi la riflessione sui vincoli morali a cui le pratiche biomediche devono essere sottoposte.
Stabilite, con grossolana approssimazione, le novità contenutistiche e formali della bioetica, cerchiamo ora di realizzare un approccio più sistematico alla disciplina, anche se per viam negatinis. Confronteremo la bioetica con l’etica medica e con la deontologia professionale, sottolineando ciò che la differenzia da queste consolidate discipline normative.
1.2. L’etica medica come teologia morale applicata alla medicina
La demarcazione dall’ambito proprio dell’etica medica, operata dalla nascente bioetica, riposava su una omologazione di diversi concetti di etica medica. Per un discorso più rispettoso della pluralità delle pratiche ― e anche più attento ai molteplici significati attribuiti agli stessi termini, per evitare il rischio di sfociare in una babele di linguaggi ― dovremo distinguere almeno tre accezioni di etica medica: come morale religiosa applicata alla medicina, come filosofia morale pratica e come morale professionale.
L’etica medica, secondo il primo significato, è un’articolazione della teologia morale. Numerosi manuali, con il titolo appunto di Etica medica, sono stati prodotti da teologi fin dalla metà del nostro secolo, parallelamente all’autorevole insegnamento magisteriale di Pio XII, il quale dedicò un’attenzione privilegiata ai problemi che andavano sorgendo a seguito dei grandi sviluppi della
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medicina contemporanea 2. Secondo la ricostruzione storica dell’avvio del movimento della bioetica negli Stati Uniti fatta da Leroy Walters, teologi moralisti e pensatori interessati al rapporto tra scienza e religione, tanto cattolici che protestanti, hanno contribuito in maniera determinante alla rinascita dell’etica medica, particolarmente nel decennio che va dal 1965 al 1975 3. Il dibattito e le pubblicazioni di quegli anni si sono riferite a questo ambito disciplinare chiamandolo, appunto, “etica medica”.
L’interesse dei teologi, che ha anticipato e stimolato quello che ai progressi della medicina avrebbero in seguito portato i cultori della filosofia morale, aveva un eminente carattere pastorale 4. L’etica medica che proponevano era elaborata deduttivamente, a partire dal patrimonio dottrinale tradizionale proprio di ciascuna confessione religiosa. Si trattava sostanzialmente di un’etica fatta dai teologi per i medici (e per i fedeli), piuttosto che con i medici. Ancor meno si può dire che fosse fatta dai medici.
Non si vedono ragioni per cui questa attività di produzione di una normatività morale religiosa applicata all’ambito biomedico, pienamente legittima entro l’orizzonte confessionale che le è proprio, non debba continuare anche dopo l’emergere del discorso bioetico nella nostra società. Per amore di chiarezza, tuttavia, sarebbe più opportuno che tale insegnamento evitasse di denominarsi bioetica (anche se è pur vero che in questo ambito i teologi hanno smesso di parlare esclusivamente ai loro correligionari con il linguaggio della loro tradizione e cercano sempre più di esprimere gli standard etici in foro pubblico e laico; la natura di questa etica medica resta, tuttavia, essenzialmente religiosa). Ritorneremo su questo tema nel capitolo dedicato al rapporto tra bioetica e religione.
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1.3. L’etica medica come area della filosofia morale
In una seconda accezione, l’etica medica è una forma di filosofia morale pratica, ovvero di etica applicata. Essa va inserita all’interno della svolta dalla meta-etica all’etica pratica. L’insegnamento filosofico tradizionale non incoraggiava a occuparsi della regolazione morale dei problemi concreti, e neppure a conoscerne la realtà. Nella convinzione che l’applicazione dei grandi principi ai casi reali non sollevasse alcuna difficoltà particolare, la riflessione filosofica si consacrava alla critica dei fondamenti del discorso morale. L’interesse dei filosofi di professione era rivolto all’aspetto formale dell’etica, cioè a stabilire quale tipo di problemi e di giudizi possono essere propriamente classificati come etici, qual è il linguaggio che la contraddistingue.
L’era della meta-etica è durata fino agli inizi degli anni Sessanta, quando l’attenzione pubblica si rivolse alle questioni che nascevano dal progresso della biologia e della medicina. I filosofi morali le fecero seguito, muovendo dagli aspetti più teorici dell’etica ai problemi del “ragionamento pratico”. Secondo una formulazione a effetto di Stephen Toulmin, mediante la svolta avvenuta una ventina d’anni fa la medicina «ha salvato la vita all’etica» 5, in quanto l’ha costretta ad occuparsi di problemi concreti; in altre parole, ha restituito all’etica la serietà e la rilevanza sociale che sembrava aver perduto.
La fioritura dell’etica medica come attività specifica di filosofia morale pratica ha trovato un campo privilegiato di applicazione nell’etica clinica (intesa come identificazione, analisi e soluzione di problemi morali che sorgono nella cura di un particolare paziente, inseparabilmente dalle preoccupazioni mediche circa la diagnosi e il trattamento corretti) e nella pratica di analisi di casi nell’ambito di comitati di etica 6.
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Pur con la dignità di discorso filosofico che le compete, questa etica medica è un’attività che non viene esercitata in modo esclusivo da coloro che, con un neologismo di conio anglosassone, vengono detti “eticisti”. L’etica medica, intesa come giustificazione razionale delle scelte etiche che la pratica clinica richiede ai sanitari, è una dimensione costitutiva dell’esercizio della medicina. Per fare correttamente etica medica è necessario solo avere la formazione appropriata, che permetta di acquisire la metodologia.
1.4. L’etica professionale in rapporto all’etica di una società
Una terza accezione di etica medica, che va distinta dalle due precedenti, è quella che si riferisce al rapporto che intercorre tra l’etica e una determinata professione: quella del medico, nel caso specifico. Una approssimazione più diretta all’ordine di problemi qui implicati è costituita dalla domanda: l’etica professionale coincide con lo standard morale in vigore in una determinata società o differisce da esso? In altre parole: l’etica professionale presuppone principi morali validi in qualsiasi ambito dell’esperienza umana, oppure implica principi validi solo per quella determinata professione e riconoscibili solo da chi la esercita? L’interrogativo è stato dibattuto, alcuni anni or sono, al più alto livello accademico, tra studiosi che hanno pubblicato le loro considerazioni sulla rivista “Ethics” 7.
Aprendo il dibattito, B. Freedman fece notare che la “morale professionale”, rispetto alla “morale ordinaria”, ha alcune caratteristiche peculiari. La morale professionale ha sempre un carattere straordinario, se confrontata con il comportamento ordinario: al professionista viene permesso di fare o di omettere certe cose che invece la morale ordinaria richiede al cittadino qualsiasi. Ciò spiegherebbe, secondo Freedman, il fatto che la morale professionale si acquisisce mediante un patto o un contratto, e che conserva le
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distanze rispetto alla morale ordinaria mediante obblighi come quello del segreto.
In risposta a questa tesi, M.W. Martin sostenne che gli obblighi propri della morale professionale non avrebbero senso, se fossero svincolati dalle norme della morale ordinaria: si possono giustificare solo rispetto ad esse.
L’obbligo del segreto medico, ad esempio, ha il suo fondamento nel principio della morale ordinaria secondo cui ogni essere umano è soggetto di due diritti inviolabili, che sono quelli dell’intimità (privacy) e della confidenzialità.
Alla sottolineatura dei diritti umani, come fondamento della morale professionale, Freedman contrappose, in un successivo intervento, la valorizzazione di ciò che rende la morale professionale diversa. Per quanto il fondamento possa essere lo stesso, coloro che vi si ispirano si collocano su un altro livello. La morale professionale impone, infatti, di realizzare atti che, se non si considerasse l’identità professionale di colui che agisce, sarebbero ritenuti immorali o illeciti. Grazie alla morale professionale, nelle relazioni sociali proprie di un gruppo viene concessa ad alcune persone, identificate come professionisti, una autorità, a cui consegue l’impunità per certi atti.
Questo dibattito filosofico sulla natura dell’etica professionale acquista maggior rilievo se lo consideriamo sullo sfondo costituito dalle analisi proprie della sociologia delle professioni 8. Da alcuni decenni si sta conducendo una riflessione sistematica sulle libere professioni, studiate in quanto occupazioni “speciali”, cioè caratterizzate da alcuni attributi che le distinguerebbero dalle altre occupazioni. Tra gli attributi individuati ci sono delle conoscenze scientifiche peculiari e l’adesione a un ideale di servizio. La specificità dell’etica professionale si spiega come una ulteriore determinazione di una “diversità'1 che sarebbe inerente, per definizione, alle libere professioni.
La ricerca sociologica che si è interessata al mondo delle professioni non ha esitato a puntare il dito sul carattere ideologico di molti miti che circondano le libere professioni. Tra questi vanno rilevati: la scelta della professione come “vocazione”, l’altruismo e l’ideale di servizio alla società, la peculiarità della formazione ricevuta,
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l’impossibilità del cliente di valutare la prestazione professionale, l’autoregolazione e il segreto professionale 9.
L’etica professionale è anch’essa uno di questi miti? È certo che essa va interpretata, nella prospettiva sociologica, come un aspetto parziale di ciò che caratterizza le libere professioni, in quanto occupazioni speciali all’interno della società. Se ci riferiamo in concreto all’etica medica, considerandola sotto l’aspetto di etica professionale, possiamo rilevare diversi indizi caratteristici di quella specie di “extraterritorialità” che si ritiene sia necessaria alla professione per poter svolgere la sua funzione sociale.
Se il segreto professionale è comune ad altre professioni (avvocati, giornalisti ecc.), in quella medica predomina la facoltà di procedere ad atti che possono avere conseguenze sulla vita e sull’incolumità personale (somministrazione di farmaci, incisioni chirurgiche), senza che tali atti, identificati come illeciti in condizioni normali, siano ritenuti tali quando sono esercitati dal medico. L’agire senza consenso sull’integrità fisica di una persona, che nelle normali occorrenze costituisce un reato di violenza privata, diventa invece lecito, se non addirittura doveroso, quando si configura come atto medico.
problemi dell’etica medica, in quanto etica della professione medica, stanno attraversando una particolare complessificazione. La medicina, infatti, acquista i connotati del sistema sociale all’interno del quale si sviluppa. Per quanto riguarda il mondo occidentale postindustriale, il tratto dominante è quel processo che ha portato la professione medica a perdere progressivamente la triplice dominanza che la caratterizzava: funzionale, gerarchica e scientifica 10. Le altre professioni sanitarie si rendono autonome e affrontano i problemi etici in un modo che non è subalterno all’etica della professione medica.
L’emergenza del soggetto e la difesa del principio di autonomia obbligano inoltre l’etica professionale medica a ridefinire i limiti della sua facoltà di curare. Il sistema sanitario è diventato troppo complesso per poter continuare a essere governato da un’etica medica elaborata da una posizione di “splendido isolamento”,
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quale era caratteristica della medicina in regime di professioni liberali.
Questa situazione complessiva permette alla bioetica di distaccarsi sullo sfondo costituito dall’etica medica in quanto etica professionale, sottolineando i propri contorni di riflessione etica non riferita direttamente all’esercizio di una professione, ma relazionata piuttosto all’etica civile e fondata sulla difesa e promozione dei diritti umani.
1.5. La deontologia medica e le sue funzioni
La terza accezione di etica medica, quella cioè che la rende equivalente a un’etica professionale, ci introduce direttamente alla deontologia. È corrente la concezione di deontologia ricondotta a un corpus formalizzato di regole di autodisciplina o norme di comportamento che, per decisione autonoma di una professione, valgono per i propri membri. Essa viene differenziata dall’etica per il fatto che non ha di mira, come quest’ultima, le scelte di valori e gli orientamenti che sono propri di un’intera comunità civile; la deontologia è finalizzata piuttosto alla tutela della professione o, più esattamente, del rapporto che i professionisti instaurano con i clienti. Pur accettando per valida questa prima approssimazione della deontologia, se ne possono dare anche altre letture, che mettono in evidenza significati e funzioni della deontologia che sfuggono a questa visione piuttosto riduttiva.
Una interpretazione più comprensiva della deontologia è quella fornita dalle analisi sociologiche. Agli occhi del sociologo l’autoregolazione professionale attuata dai codici deontologici appare come sintomo di esigenze funzionali che riguardano tutte le professioni, in quanto hanno un bisogno di legittimazione. Questo bisogno appare particolarmente evidente nell’ambito sanitario.
La preoccupazione principale che traspare nel corpo delle norme di deontologia medica, in quanto modelli di comportamento faticosamente consolidati nel tempo mediante la ripetitività e autorevolmente proposti dagli organismi più rappresentativi della professione, è quella di costruire una relazione di fiducia con il paziente. La deontologia corregge l’intrinseca asimmetria del rapporto medico-paziente, esplicitando le norme di comportamento a cui i sanitari, in quanto professionisti, si impegnano ad attenersi. Non si limita, perciò, a difendere gli interessi della categoria, concepita
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come una corporazione, ma tutela anche i pazienti da eventuali comportamenti illeciti da parte dei membri della professione.
Le formulazioni deontologiche comprendono le regole che i professionisti considerano essenziali per il buon esercizio della professione comune, in quanto questa ha per interlocutori la società, la quale legittima l’esercizio dell’arte terapeutica, e i malati, che hanno bisogno di una relazione fiduciale. Le regole deontologiche sono, perciò, più che un semplice regolamento interno alla professione. Le si potrebbe chiamare uno “spirito”, che deriva da una percezione collettiva dell’attività svolta, del senso di questa attività e del suo articolarsi con l’organizzazione sociale.
Accanto a questa lettura sociologica, che vede nella creazione di una deontologia l’avvenuto processo di istituzionalizzazione della professione, è opportuno introdurne un’altra, di natura psico-sociale. Il punto di partenza di questa interpretazione è costituito dalla consapevolezza che il sapere medico è un sapere particolare. Renée Fox, che da decenni ne studia le caratteristiche, ha messo in evidenza il carattere di incertezza del sapere medico e ha potuto analizzare le diverse strategie messe in atto nel corso del curriculum di formazione degli studenti di medicina per imparare ad adattarsi ad essa 11.
Una situazione particolarmente emblematica di tutto il processo di acquisizione del sapere medico, inteso come controllo dell’incertezza, è individuata dalla studiosa americana nella autopsia. A suo avviso, la partecipazione alla prima autopsia riveste un significato simbolico molto alto ― fino a costituire un vero e proprio “rito di passaggio” ― e completa la formazione all’incertezza nel periodo preclinico. Mediante l’autopsia, gli studenti di medicina fanno la conoscenza di uno dei modi istituzionalizzati grazie ai quali i medici affrontano l’incertezza intrinseca alla professione con fini di ricerca 12. Allo stesso tempo, gli studenti capiscono che la partecipazione a un’autopsia costituisce uno dei numerosi diritti e privilegi dei medici, che vengono estesi agli studenti nel quadro della loro formazione. L’autopsia aiuta gli studenti a prendere coscienza che abbracciano una professione che possiede un codice di comportamento molto diverso rispetto a quello dei profani. Tale
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processo equivale, in definitiva, a un primo contatto con la deontologia che è propria della professione.
È importante notare, a tale proposito, che la deontologia non ha bisogno di un insegnamento formale. Essa viene assimilata per lo più indirettamente: pur senza aver mai letto il Giuramento di Ippocrate, la maggior parte dei medici ne ha fatto proprio lo spirito e sa con esattezza a che cosa ci si riferisce quando ci si appella ad esso. Nella stessa direzione ci inclina anche la constatazione che i principali documenti della tradizione deontologica ed etica in medicina, pur elaborati in tempi e luoghi diversi e senza contatti reciproci, coincidono sostanzialmente nelle linee fondamentali 13. La deontologia viene acquisita insieme al sapere teorico e alla tecnica, al punto da non essere facilmente separabile da questi. Per interpretare tale fatto, abbiamo bisogno di una ulteriore prospettiva, e precisamente di quella che ci viene offerta dalla psicosociologia. Questa si è resa attenta al funzionamento dei sistemi sociali in quanto istituzioni che costituiscono una difesa contro l’ansia. E l’ansia che inerisce alla pratica della medicina è di una intensità particolare, tanto che alcuni studiosi si sentono autorizzati a qualificarla come psicotica 14. Il desiderio, infatti, di conoscere e di guarire, che anima il sapere medico, risveglia quelle potenziali fonti di angoscia connesse con il penetrare i segreti della vita e della morte, con l’infrazione del tabù che interdice l’accesso all’interno del corpo dell’altro (di qui il particolare valore di rito di passaggio attribuibile al primo ingresso in sala settoria) e con l’incontro con la malattia.
Tutti i membri della stessa istituzione condividono analoghi meccanismi di difesa, che interiorizzano durante il processo di formazione. Qui si può individuare il motivo della particolare coesione che caratterizza l’appartenenza alla professione.
1.6. Strategie per vincere l’angoscia
La formulazione di codici e norme di comportamento è solo
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l’aspetto fenomenologicamente più superficiale della deontologia, ovvero l’esplicitazione della sua funzione sociale. La sua radice più profonda va rintracciata invece nei meccanismi difensivi che tutti i medici adottano per il fatto di operare in prossimità dei segreti inquietanti della vita e della morte. Questo profilo della deontologia ci permette di capire, per esempio, come il sapere medico tenda a situarsi “spontaneamente” dalla parte della difesa della sacralità della vita, indipendentemente dall’ethos sociale o dai valori etici culturalmente condivisi. Se, nel caso di divaricazione tra mantenimento della vita e sua qualità, la classe medica è più incline all’opzione per la difesa della vita, ciò va ricondotto in profondità a un consenso sulla comune deontologia, piuttosto che alla condivisione di una identica etica medica.
Nella stessa direzione ci conducono anche le osservazioni che possiamo fare a partire dalla “etichetta medica”. Anche l’etichetta può essere ricondotta nell’ambito della normatività che accompagna l’esercizio di una professione sanitaria.
A differenza della normatività etica e di quella deontologica, che si servono del linguaggio dei doveri (ciò che si deve e non si deve fare, ciò che è lecito e proibito, bene e male), l’etichetta parla di opportunità e convenienza. Viene trasmessa in modo ancor meno formale della deontologia; anzi, pur essendo stato un genere letterario molto coltivato nel Medioevo e nel Rinascimento, fino alle soglie dell’epoca moderna, è stato poi progressivamente abbandonato.
Nelle norme di buon comportamento medico derivanti dall’etichetta troviamo per lo più consigli che presuppongono l’esperienza. Possono riguardare aspetti poco importanti — come il modo di vestire o gli espedienti per impressionare il pubblico ― ma anche problemi di alto profilo: per esempio, come gestire il rapporto con il paziente.
Rileggiamo una pagina tratta da Cento aforismi medico-politici del medico padovano Alessandro Knips Macoppe, che teline la cattedra di Medicina Pratica sino alla metà del XVIII secolo (un contemporaneo del grande Morgagni, dunque). L’ottavo aforisma impartisce questi consigli:
Cerca di essere sempre ambiguo nel formulare previsioni sul decorso della malattia. Pressante e inevitabile tormento è per il medico la continua richiesta di previsioni sull’esito della malattia, da parte non solo dei familiari ma anche dei semplici conoscenti. Tutti appaiono eccessivamente preoccupati del futuro. Vorrebbero che noi medici fossimo dei semidei,
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degli oracoli preveggenti il futuro, invece che dei semplici uomini. Chi aspira all’eredità di denaro o di carica; chi ha sentimento di amore ed affetto per il padre, il figlio, la moglie, l’amante, l’amico, il servo; e anche chi odia il malato come nemico: tutti trovano angosciose le perplessità e l’incertezza da cui è avvolta la soluzione del problema.
In questa situazione tu devi barcamenarti formulando vaghe previsioni secondo lo stile delle profezie delle antiche sibille. Con parole di dubbio significato, con espressioni ambigue, riuscirai a tenere in sospeso gli animi, a mitigare le curiosità, ad accontentare gli ingenui. Sii prudente nel formulare la diagnosi, in modo da avere sempre di riserva eventuali giustificazioni in caso di errore. Potrai dire, ad esempio: «Il malato guarirà solo se avrà una forte sudorazione; solo se i medicamenti riusciranno a manifestare la loro efficacia e soprattutto se il corpo sofferente riuscirà a completare la loro azione; solo se l’organismo ormai gravemente debilitato riuscirà a vincere la gravissima e refrattaria malattia». Ci sono anche medici che in caso di malattie gravi e di prognosi incerta ad alcuni dei parenti predicono la guarigione del paziente, ad altri invece la morte. Così in ogni caso possono citare un testimonio della loro corretta prognosi, facendo finta di ignorare l’altro testimonio oppure affermando di avergli deliberatamente taciuta la verità 15.
L’interesse di testi di questo genere non sta nella ricerca dell’ipotetica attualità di “furbizie” professionali come quelle che il dott. Macoppe cerca di trasmettere ai più giovani colleghi. Al di sotto degli espedienti, c’è una cosa seria: l’incertezza che caratterizza l’azione del medico e l’angoscia connessa con tale incertezza.
Curare la salute richiede un “saper fare” che non si esaurisce nel sapere scientifico e nelle conoscenze tecniche. Bisogna appropriarsi e interiorizzare una serie di norme connesse al fatto che l’esercizio della medicina avviene in una situazione che è tra le più intricate e angosciose della vita umana. Il sanitario è collocato in un nodo di aspettative, attese, domande collegate con la vita e la morte, e quindi cariche di pathos; ha a disposizione un sapere che è incerto per definizione.
Tra i suggerimenti empirici di Macoppe e le regole della bioetica contemporanea possiamo avere l’impressione che siano passati anni luce. Di fatto è così. Ma non dobbiamo lasciarci sfuggire ciò che accomuna questi diversi saperi normativi: le norme ― deontologiche, di etica professionale, di bioetica, di etichetta ― vogliono mettere il sanitario in grado di operare bene, pur svolgendosi la sua professione in condizione di insuperabile incertezza.
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La specificazione delle diverse accezioni e funzioni dell’etica medica e della deontologia propria della professione sanitaria ci permette di non confondere questi diversi saperi e atteggiamenti con l’attività specifica della bioetica. In quanto etica civile, questa è costituita da una procedura particolare che presuppone e rispetta l’autonomia delle altre istanze normative del comportamento. La loro differenziazione e reciproca distinzione di livello di funzionamento e di finalità produce, in definitiva, una più efficace presenza del bisogno di normazione nell’ambito dell’attività sanitaria.
1 Le vicende della nascita dell’Encyclopedia of Bioethics sono raccontate da Warren Reich nel volume di C. Viafora (a cura di), Vent’anni di bioetica, Fondazione Lanza — Libreria Gregoriana Editrice, Padova 1990, pp. 129 ss. Per l’accezione originale del termine bioetica, cfr. B. Chiarelli, E. Gadler, Nota storica. Van Rensslaer Potter e la nascita della bioetica, in “Problemi di bioetica”, n. 5, 1989, pp. 61-3.
2 Gli interventi di Pio XII, costituiti da una nutrita serie di discorsi e allocuzioni a medici e scienziati, sono raccolti nel volume di F. Angelini (a cura di), Pio XII: discorsi ai medici, Orizzonte Medico, Roma 1963.
3 L. Walters, La religione e la rinascita dell’etica medica negli Stati Uniti: 1965-1975, in E.E. Shelp (a cura di), Teologia e bioetica, trad. it. Ed. Dehoniane, Bologna 1989, pp. 37-57.
4 Di qui l’altra designazione di questo ambito disciplinare come “medicina pastorale”. Un manuale con questo titolo, pubblicato dal tedesco Albert Niedermayer, tradotto in italiano (Compendio di medicina pastorale, Marietti, Torino 1955) può essere assunto come punto ai riferimento per ricostruire i contenuti e il metodo di questo tipo di incontro tra pratica della medicina e riflessione morale, che ha continuato ad essere coltivato in Italia fino all’irruzione della bioetica americana.
5 S. Toulmin, How Medicine Saved the Life of Ethics, in “Perspective in Biology and Medicine”, 25, 1982, pp. 736-50. Sul tema della riabilitazione della filosofia morale pratica, cfr. E. Berti (a cura di), Tradizione e attualità della filosofia pratica, Marietti, Genova 1988.
6 Cfr. L. B. Hoffmaster, B. Freedman, G. Fraser (eds.), Clinical Ethics: Theory and Practice, Humana Press, Clifton, N.Y. 1989; A.R. Jonsen, M. Siegler, W.J. Winslade, Clinical Ethics, Macmillan Pubi. Company, New York 1986; G.C. Graber, A.D. Beasley, J.A. Eaddy, Ethical Analysis of Clinical Medicine, Urban and Schwarzenberg, Baltimore 1985. In questo ambito va collocato il revival della casistica, rivalutata come procedimento di autentica filosofia morale, dopo il discredito in cui era stata gettata da Pascal in poi: cfr. A.R. Jonsen, S. Toulmin, The Abuse of Casuistry, University of California Press, Berkeley 1988
7 B. Freedman, A Meta-Ethics of Professional Morality, in “Ethics”, 89, 1978, pp. 1-19; M.W. Martin, Right and Meta-Ethics of Professional Morality, in “Ethics”, 91, 1981, pp. 619-25; B. Freedman, What Really Makes Professional Morality Different: Response to Martin, in “Ethics”, 91, 1981, pp. 626-30.
8 Cfr. J.A. Roth, Professionalism. The Sociologist’s Decoy, in "Sociology of Work and Occupations”, 1, 1974; trad. it. in G. P. Prandstraller (a cura di), Sociologia delle professioni, Città Nuova, Roma 1980.
9 Cfr. W. Tousijn, Medicina e professioni sanitarie: ascesa e declino della dominanza medica, in id., Le libere professioni in Italia, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 169-201.
10 Cfr., in senso esemplare, il saggio di A. Febbrajo, Struttura e funzioni delle deontologie professionali, in Tousijn, Le libere professioni in Italia, cit., pp. 55-86.
11 R.C. Fox, Training for Uncertainty, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1957.
12 Cfr. id., The Autopsy. Its Place in the Attitude ― Learning of Second-Year Medical Students, in Essays in Medical Sociology: Joumeys into the Field, Wiley Publ., New York 1979, pp. 51-77.
13 Cfr. S. Spinsanti (a cura), Documenti di deontologia ed etica-medica, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1985.
14 Cfr. G. Guerra, La medicina come istituzione e il suo sapere, in S. Spinsanti (a cura di), Bioetica e antropologia medica, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1991, pp. 83-97. Su tutta la problematica psicosociale delle istituzioni, cfr. I.P. Menzies, The Functioning of Social Sistem as a Defence against Anxiety, Tavistock Institute, London 1970.
15 Centum Aphorismi medico-politici di Alexandri Knips Macoppe, volgarizzati da Tito Berti, Casamassima, 1991, pp. 37 ss.